11 settembre 2008

La vera malatta è la sanità


Riceviamo e pubblichiamo l'intervento di Stefano Flamini, direttore U.O. di Ortopedia e Traumatologia Ospedale "S. Salvatore" L'Aquila.

La sanita' Abruzzese e' malata, è tutto il sistema che non funziona e la causa prima della malasanita' sembra essere l' assenza di controlli, l' inesistenza di sistemi premi-punizione, la non applicazione di parametri di efficienza. I politici responsabili della gestione della sanita' Regionale degli ultimi anni si sono dimostrati del tutto inadeguati, cosi come si è dimostrata inadeguata gran parte della classe medica, che nulla ha voluto cambiare e nulla doveva turbare quelle modalità di lavoro che hanno contribuito a rendere disastrosi i conti della Sanità. Sull' onda degli ultimi episodi di cronaca e per il suo crescente peso economico è indispensabile che il prossimo Governo Regionale prenda di petto la questione salute. Provo ad indicare, seppur sinteticamente, obiettivi programmatici, di cui mi auguro, Vorrà’ tener conto in vista delle elezioni prossime.

Il 1° e' quello dell' assenza, della carenza e dei ritardi delle informazioni sul servizio sanitario Regionale per valutarne il grado di efficienza. Sembra quasi che i gestori non gradiscano produrre o essere sottoposti a rendiconti. Nessuna delle attuali Asl pubblica dati sulla propria attivita' . L' informazione regionale, quando c'e', offre dati aggregati e tardivi. I rendiconti del ministero della Sanita' contengono solo dati contabili e nessun indice di redditivita' . Mancano dati sui costi dei singoli ospedali, sugli stessi organici, non ci sono dati attendibili e confrontabili sui costi medi di degenza. Si dice che il personale sanitario sia in esubero: si tagliano posti ai medici ed infermieri ma si moltiplicano i posti degli amministrativi…..è pazzesco. Nell’industria le spese amministrative debbono essere contenute al disotto del 10 per cento, nei nostri ospedali, seppure con diverse aggregazioni di spesa, arrivano al 30-35 per cento, . Cio' e' tanto piu' grave, dal momento che la spesa sanitaria in Abruzzo assorbe oltre l’80% del bilancio generale della Regione di cui circa un quinto è dedicato ai rimborsi alle cliniche private per le prestazioni effettuate in convenzione.

IL 2° e' l' assenza di parametri di efficienza e di rendimento. L' introduzione di parametri di efficienza, tipici delle imprese e l' analisi degli scostamenti e delle varianze delle singole Unita' Operative offrirebbero precise griglie di lettura e di intervento nelle diverse realta' : premiando le piu' produttive, stimolando le meno efficienti. I piccoli ospedali, che non riescono ad avere una massa critica, cioè un numero di degenze sufficiente per offrire dei servizi qualitativamente avanzati andrebbero chiusi o magari trasformati in strutture per la lungodegenza-riabilitazione, garantendo la partecipazione delle comunità locali a questo ridisegno dei servizi per la salute
La sperimentazione dei famosi Nuclei di Cure Primarie (NCP), nuove forme organizzative della Medicina Generale che, per come sono state progettate, presentano molti dei tratti caratterizzanti le UMG (Unità di Medicina Generale) che dovrebbero costituire i mattoni della assistenza territoriale nel prossimo futuro, attualmente risultano utili ad aumentare lo stipendio dei medici e fallimentari dal punto di vista sanitario.

Il 3° è l’ espansione, nonostante i tentativi di tenerla sotto controllo messi in campo dai Governi Nazionali. Piu' della meta' della spesa e' dovuta ad una domanda sempre piu' sofisticata cui corrispondono cure sempre piu' costose e spesso non appropriate. Ad esempio dal 20 al 50% degli interventi chirurgici non sono necessari, come non lo sono il 50% delle radiografie, TC e RM per dolore lombare o artrosi. Criteri di misurazione quali esistenza e uso di linee guida o documenti di riferimento, percentuale di aderenza alle raccomandazioni selezionate, danni da terapie di tipo o durata incongrui abbatterebbero gli sprechi. Ognuno di questi sprechi fa perdere tempo, rende difficile lo svolgimento delle operazioni, accentua i disagi da carenza di risorse. Inoltre, se la salute e’ vero non ha prezzo, tuttavia la spesa non deve divenire un costo dell’inutile. Infatti nella sanità troppe risorse vengono assorbite per la -non sanità-, da cui la necessità di una razionalizzazione della spesa, evitando gli sprechi. Quanto si spende nella sanità è tutto per la sanità? Quanto si spreca? Quante sono le spese inutili? Forse più che di malasanità, meglio sarebbe di guardare se non c’è una malamministrazione della sanità.

Il 4° è la certificazione, o meglio assenza di certificazione. Se le leggi obbligano le imprese, soprattutto quelle al di sopra di certe dimensioni, a sottoporre all' analisi di certificatori professionali il proprio bilancio, perche' non e' possibile introdurre le stesse procedure per le ASL? Ne' puo' valere l' alibi dei costi: se diretta dal centro e resa obbligatoria, la certificazione dell' attivita' degli enti sanitari avrebbe costi decisamente marginali rispetto agli sprechi e agli abusi. Una delle misure piu' celeri da prendere, dovrebbe essere l’ istituzione di un corpo di ispettori, altamente qualificato(ex Primari, Direttori Sanitari etc), che abbiano il compito di organizzare il controllo dell' attivita' e che, utilizzando e introducendo una serie di parametri di rendimento e di efficienza per i diversi tipi di struttura, possano attivare l' azione dei responsabili regionali, verso le realta' peggiori per migliorarle, verso quelle migliori per premiarle.

Il 5° riguarda le dinamiche demografiche legate all'invecchiamento. Ad incidere maggiormente sulla spesa pubblica non è solo il fattore età, quanto l'insorgenza di malattie croniche incurabili o dall'esito incerto, che necessitano di assistenza specialistica e prolungata nel tempo. Stiamo assistendo ad un rapido, profondo e duraturo cambiamento del profilo di domanda dei servizi sanitari, la struttura della domanda appare sempre più sbilanciata verso le esigenze di soggetti "fragili", anziani e non autosufficienti affetti da malattie croniche e patologie multiple. La struttura dell'offerta è invece rimasta sostanzialmente quella ideata e costruita un secolo fa' per far fronte ad una domanda di sanità guidata da un quadro epidemiologico completamente diverso da quello attuale, ed orientato prevalentemente alla gestione delle emergenze e delle malattie acute. . Le nostre strutture necessitano di profondi cambiamenti per adeguarsi alle esigenze di una popolazione sempre più anziana, in cui spesso più patologie minano nel tempo la salute di un individuo ed in cui infine le emergenze sanitarie si accompagnano ad emergenze sociali di assistenza e sostegno. Diventa sempre più necessario rivedere come e dove vengano spesi i soldi della sanità pubblica e al contempo pianificare dei programmi di assistenza indirizzati al potenziamento della sanità territoriale decentrata per poter prendersi carico in modo efficace ed efficiente di una popolazione destinata ad invecchiare sempre di più. Tipicamente in sanità "l'offerta crea la domanda". Un modello distributivo dei servizi sanitari ancora fortemente incentrato sul ricovero ospedaliero sta da molto tempo creando una domanda distorta, sottolineata in particolare dai molti ricoveri impropri che risultano essere sempre più costosi per il Sistema Sanitario Regionale, oltre che poco efficaci dal punto di vista della cura del paziente. In un'ottica di bilanciamento fra costi e qualità dei servizi sanitari, i mutamenti demografici ed epidemiologici in atto dovrebbero spingere ad una ri-definizione della strategia di distribuzione dei servizi socio-sanitari sul territorio volta a re-ingegnerizzare la struttura dell'offerta, integrando la componente ospedaliera con una potenziata presenza territoriale a supporto delle mancate ospedalizzazioni, delle de-ospedalizzazioni anticipate e della assistenza presso il domicilio delle persone. Tutto questo comporta una organizzazione del servizio per processi, in grado di coinvolgere in maniera orizzontale ospedali, strutture sanitarie territoriali, medici di medicina generale e specialisti, assistenti sociali e, naturalmente, il paziente stesso, in modo particolare l'anziano, l’ oncologico, il disabile e il cronico.

6° Cliniche private, soldi pubblici.
«Ai privati arrivano soldi e alle strutture pubbliche le rogne» scrivono Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella. È esattamente così, ma non solo in Sicilia. In Abruzzo si è voluto mettere sullo stesso piano pubblico e privato con l'idea che farli competere aumentasse l'efficienza e riducesse gli sprechi. Prima però si sarebbe dovuto cambiare le regole. Se pubblico e privato devono competere per dare efficienza agli ospedali, uno si aspetta che le regole siano le stesse. Ma gare d'appalto, vincoli per i concorsi, impossibilità di licenziare chi non lavora si applicano alle strutture pubbliche, al privato no. Gli ospedali formano grandi medici, e bravi infermieri che dopo qualche anno lavoreranno nelle cliniche private, che li retribuiscono a prestazione. Tante prestazioni, tanti soldi. I rimborsi sono a prestazioni (DRG), a ciascuna prestazione corrisponde una tariffa incoraggiando a curare le malattie «che rendono», e facilmente alterabili per ottenere rimborsi più alti di quanto non comporti la prestazione effettuata (in un recente convegno a Milano è emerso che l'uso improprio dei DRG costa allo Stato 5 miliardi all'anno). E’ facile ipotizzare, se ci fossero stati ispettori , come precedentemente viene descritto, difficilmente si sarebbero potuti verificare quegli episodi che sembra siano accaduti. Chi ha grandi traumi dell’ apparato locomotore, infezioni da germi difficili da curare, grandi insufficienze d'organo, chi deve essere ricoverato per mesi, gli ammalati di Aids, sono sempre curati negli ospedali pubblici. Che in questo modo più lavorano, più «perdono», perché il sistema è tale che i DRG non sono remunerativi per i malati gravi. Dovremmo rinunciare all’ attuale modello? Penso di sì, finché siamo in tempo.
Le competenze del privato si dovrebbero poter integrare con quelle degli ospedali pubblici, vincolando il sistema a regole precise cioè “delegare” al privato alcuni “servizi” e “prestazioni” in regime di convenzione, cioè complementare al pubblico e non concorrenziale. Così non ci sarebbero più a pochi chilometri cliniche private e ospedali che fanno la stessa cosa, si ridurrebbero esami e interventi inutili e si garantirebbero ai cittadini buone cure, che è la cosa più importante, ed è anche quella di cui si parla di meno.

Razionalizzare, chiudere o convertire i piccoli ospedali e cliniche private, gli inevitabili esuberi di personale faranno insorgere i lavoratori, le popolazioni ed i politici locali. Ci sono in agguato molti nemici che non hanno nessuna voglia di vedere cambiato un sistema in cui hanno prosperato ottimamente, pertanto, per risanare con saggezza un settore allo sbando è necessaria una politica con la P maiuscola che riesca a coinvolgere "la massa", che non rinunci a dire la verità, anche se scomoda, e che non la prenda in giro.

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